Link al post pubblicato sul Corriere della Sera: Convegni di soli uomini fate così per far sentire anche la vostra voce La ventisettesima ora
Ancora nel 2015, convegni monosessuati: i molteplici perché delle critiche, i motivi per cambiare Il fatto: la Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura, “il principale centro di produzione culturale di Genova con importanti mostre d’arte, eventi e convegni” (così si autodefinisce sul sito internet) ha organizzato un convegno della durata di quattro giorni, intitolato Le età del Capitalismo. Un evento dedicato al grande pubblico, “una rassegna che considera il capitalismo nel suo complesso” (altre parole tratte dal sito) a cura di Donald Sassoon con Luca Borzani, Alessandro Cavalli e Antonio Gibelli. Circa trentacinque relatori si avvicenderanno al microfono. L’uso del solo maschile (relatori e non relatori/relatrici) è voluto, in quanto non una sola voce di donna risuonerà a Palazzo Ducale.
Le giustificazioni: interpellata, la Fondazione risponde che ha sempre molta cura nel rispettare un equilibrio di “genere” nella scelta dei partecipanti e che quest’anno si è verificato un problema imprevedibile: le relatrici contattate hanno tutte dato forfait all’ultimo momento. Ne deduciamo quindi che circa trentacinque relatrici nei giorni precedenti il convegno hanno avuto seri problemi che hanno loro impedito di partecipare, senza indicare chi avrebbe potuto sostituirle, o inviare il testo chiedendo che fosse letto da altri, o proposto un collegamento online, o una qualsiasi delle altre strade che si percorrono abitualmente in questi casi. O forse le poche invitate si sono rese conto del contesto generale e hanno preferito defilarsi. Non lo sapremo mai.
Le critiche di principio: non esiste un solo punto di vista quando si parla di eguaglianza, rappresentatività, equità, inclusione. Ci sono persone che ritengono che le donne abbiano un “quid” che le accomuna, e che quindi esiste un punto di vista femminile, diverso da quello maschile, cui troppo spesso non viene dato spazio; ci sono persone che pensano che l’omissione di voci, esperienze, competenze femminili sia un aspetto particolare di un problema generale, cioè la mancanza di “diversità”. Da qualsiasi punto di vista, un parterre di trentacinque uomini costituisce un problema. Le critiche di merito: la lista monosessuata attira l’attenzione critica anche di un’altra categoria, quella di chi di storia si occupa a livello professionale. La Società Italiana delle Storiche (SIS) in un comunicato, affronta il problema in termini molto chiari: “sul piano contenutistico … si rileva l’assenza di interventi che facciano riferimento alle intersezioni tra il discorso di classe e le dinamiche di genere, al complesso rapporto tra donne e lavoro, alle riflessioni critiche che decenni di studi femministi in ambito storico, economico e sociologico hanno prodotto sul capitalismo”, “l’immagine che una manifestazione come “La Storia in Piazza” sceglie di restituire al grande pubblico si dimostra desolante”, “rischio di collocare la storiografia italiana ai margini del dibattito accademico internazionale” (http://tinyurl.com/kh6teyn).
Cosa possiamo imparare da quanto successo: numerosi sono i motivi per cui organizzare eventi monosessuati andrebbe evitato. 1) Se uomini e donne costituiscono due categorie diverse e complementari, è giusto che siano rappresentate entrambe, perché hanno cose diverse da dire, e non possiamo ascoltare sempre e solo un punto di vista che pretende di rappresentare l’universale. 2) Se non esistono due categorie, e il sesso (anagrafico) è una costruzione sociale che urge de-genderizzare per arrivare a valorizzare la diversità, il risultato monosessuato degli organizzatori delle Età del capitalismo può essere criticato anche per altri motivi. L’esclusione delle donne è quella più lampante, verificabile tramite una rapida scorsa di nomi pubblicati su un giornale, ma sarebbe semplice verificare l’esclusione anche di altre categorie, che compongono la diversità nell’accezione contemporanea, quella cui si fa riferimento quando si parla di “diversità nei posti di lavoro” o di “diversità nella rappresentanza politica”, per fare solo due esempi. La diversità intesa come inclusione di individui che rappresentano più di una etnia, nazionalità, religione, estrazione sociale e abilità, più di uno status socio-economico, genere e orientamento sessuale. 3) Se si desidera organizzare eventi che abbiano un carattere “scientifico” conviene attenersi a criteri “scientifici” condivisi dalle “comunità scientifiche”, presidiandone l’attuazione e prendendo provvedimenti seri e fattuali laddove si constati che uno o più di questi criteri non sono rispettati, anche per motivi indipendenti dalla volontà degli organizzatori (e, di nuovo, l’uso del solo maschile è voluto).
Rita Bencivenga, Ph.D. Laboratoire LEGS (Laboratoire d’études de genre et de sexualité) CNRS/Université Paris 8 Vincennes Saint-Denis et Université Paris Ouest