È ora di riprendere in mano i Piani di Azioni Positive. Con l’introduzione dei GEP stiamo correndo il rischio di avviare negli enti pubblici dei percorsi paralleli, in cui documenti in gran parte simili attuano azioni che rischiano di sovrapporsi e limitarsi reciprocamente. Solo una visione chiara degli impatti che intendiamo ottenere in merito a parità di genere, rispetto delle diversità e inclusione (Equality, Diversity and Inclusion – EDI) ci permetterà di elaborare mappe dettagliate delle iniziative esistenti e di conseguenza valorizzarle e potenziarle.
I GEP sono arrivati negli enti pubblici italiani anni dopo l’introduzione dei Comitati Unici di Garanzia (CUG), come sanno bene l’Unione Europea e l‘Istituto Europeo per la Parità di Genere (#EIGE). Le similitudini fra i GEP e i Piani di Azioni Positive, realizzati dai CUG, sono evidenti, ma non possiamo “svuotare” i PAP di azioni sulla parità di genere per trasferirle nei GEP. Inoltre, vi sono molti aspetti dei PAP che mostrano un approccio più moderno e inclusivo rispetto ai GEP, cosa da valorizzare e diffondere.
Inoltre esistono molte iniziative e figure professionali già consolidate negli enti pubblici e che non rientrano formalmente nei PAP e, ora, nei GEP. Una visione focalizzata sui GEP come strumento principale per la promozione della parità di genere rischia di offuscare altre iniziative. Una visione globale permetterebbe di rilanciare e valorizzare quanto ora rischia di perdere visibilità.
Ho condiviso su LinkedIn alcune riflessioni su questo tema, scaturite in incontri di formazione e aggiornamento di personale di enti pubblici. Il consenso è unanime, si tratta ora di avviare percorsi condivisi.