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EDI nelle ICT

Trasformare la ricerca e lo sviluppo ICT adottando pratiche inclusive

Con il lancio di Horizon Europe, l’Unione Europea ha sottolineato l’importanza di includere EDI (Equality, Diversity, Inclusion) nella ricerca e nell’insegnamento. In molti paesi, come ad esempio l’Irlanda, le agenzie di finanziamento della ricerca richiedono l’adozione di strategie inclusive come requisito per l’assegnazione dei finanziamenti.

Tuttavia queste prospettive sono ancora spesso assenti dal panorama delle ICT. Questa lacuna non solo influenza la ricerca e l’innovazione, ma impatta significativamente anche sul modo in cui comunichiamo e insegniamo nel settore.

Il problema

La mancanza di prospettive diverse può portare a bias nella raccolta dei dati, nello sviluppo degli algoritmi e nell’usabilità dei sistemi. Ad esempio, i bias di campionamento, culturali e linguistici nella raccolta dei dati possono portare a una sottorappresentazione di determinati gruppi. I pregiudizi di chi progetta possono riflettersi nello sviluppo degli algoritmi, e i bias nell’usabilità dei sistemi possono emarginare utenti provenienti da contesti culturali diversi.

Questi pregiudizi possono non solo ignorare, ma anche aggravare le disuguaglianze sociali esistenti, con effetti a lungo termine. Affrontare queste sfide e promuovere la diversità di genere, applicando al contempo un approccio intersezionale, sono passi cruciali verso tecnologie, sistemi e servizi ICT più inclusivi ed equi.

Integrare i principi EDI può presentare sfide, ma i benefici sono significativi. Tecnologie inclusive non solo aumentano la soddisfazione degli utenti, ma stimolano anche l’innovazione e contribuiscono alla crescita economica.

Tante domande

Ma cosa significa tutto ciò per i ricercatori e le ricercatrici nel campo delle ICT, che in molti casi potrebbero non aver ricevuto una formazione su come integrare aspetti legati diversità, uguaglianza e inclusione nelle loro ricerche?

C’è il rischio di adottare un approccio superficiale del tipo “aggiungi la diversità e mescola”, in cui ci limitiamo a soddisfare requisiti senza affrontare i pregiudizi sottostanti e le disuguaglianze strutturali?

Non c’è anche il pericolo di delegare i cambiamenti strutturali necessari agli uffici risorse umane e agli uffici responsabili dei Gender Equality Plan, senza assumerci anche una responsabilità personale?

Dove si colloca la responsabilità personale e professionale di chi fa ricerca verso l’EDI?

Cosa fare?

Possiamo sviluppare e implementare strategie che integrino veramente l’inclusione nei nostri metodi di ricerca e nelle pratiche pedagogiche, assicurandoci che le conoscenze che generiamo e le tecnologie che sviluppiamo riflettano e servano un più ampio spettro della società.

Possiamo delineare strategie utili a incorporare queste prospettive critiche nelle ICT, una roadmap che ci accompagni passo dopo passo nell’acquisire la necessaria confidenza con questi temi. Dobbiamo convincerci che diversità e inclusione possono cambiare in meglio l’impatto delle ICT sulla vita dei cittadini!

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